Confronto culturale con Kimura sensei

Prima parte

Anno 2008

L’esperienza dell’apprendistato giapponese con Kimura sensei

Cari lettori,

vi presento questo libro sull’arte bonsai del mio caro allievo Massimo che comprende insegnamenti di coltivazione e tecnica bonsai ed ampie parti di cultura giapponese.

Il bonsai è un’arte, quindi i giovani artisti di bonsai non devono avere paura di superare le regole della tradizione  per avviarsi alle forme della contemporaneità.

Le tecniche che comprendono l’uso meticoloso del filo, le sculture sul legno e la coltivazione d’avanguardia ci permettono di ottenere nuove forme conservando la naturalezza del bonsai tradizionale e migliorandone l’aspetto.

Le nuove tecniche non cambiano lo spirito tradizionale del bonsai: bellezza e tranquillità rimangono il nostro cammino.

Il bonsai è un’arte tradizionale che fa parte della cultura giapponese, e, in ogni caso la tradizione deve essere mantenuta, prendendo però qualche carattere dell’epoca nella quale opera l’artista; è quindi corretto conservare la tradizione e, contemporaneamente, esprimere nel bonsai il movimento e i cambiamenti dovuti all’epoca in cui si vive.

Per fare bonsai occorre studiare ed apprendere la tecnica e la teoria,ben esposta in questo libro, ma prima di tutto è molto importante comprendere l’aspetto spirituale del fare bonsai. Prima è necessario capire che tipo di bonsai si deve avere per affrontare il bonsai, una volta acquisito questo aspetto si può cominciare ad imparare la teoria e la tecnica. La spiritualità è fondamentale.

Il rapporto tra maestro e discepolo deve essere vivo come lo era nell’epoca feudale giapponese e talmente stretto che l’allievo deve accettare sempre l’opinione del maestro per cui se il discepolo vede una cosa bianca, ma il suo maestro  dice che è nera, l’allievo deve accettarlo. Solo in questo modo si riesce a crescere spiritualmente, affrontando veramente il giusto spirito del “fare bonsai”.

 

Masahiko Kimura                 Giappone  2008

Nella prefazione al mio libro, una lettera del 2008, si notano alcuni aspetti fondamentali dell’idea del Maestro per quanto riguarda il bonsai contemporaneo e la classicità.

Se dovessimo identificare il bonsai in modo artistico potremmo dire che si tratta di un albero, in vaso, vivo, miniaturizzato e costruito secondo l’estetica zen. Ma anche questa definizione sta stretta a tutto il percorso storico, infatti ci sono in realtà tre modi storici di concepire il bonsai: abbiamo il Penjing cinese su base taoista, il bonsai classico giapponese che non è un’arte ma una via sulla base della vera bellezza giapponese, ed il bonsai contemporaneo che nel novecento ha dato una interpretazione artistica con l’autore creativo e non tramite.

Tra le grandi differenze culturali tra l’Occidente ed il Giappone, in verità numerosissime, ne abbiamo anche di metodo.  Molto affascinante è ad esempio vedere come l’apprendistato giapponese mette a prova il metodo accademico tipico del nostro modo di studiare: è un dialogo impossibile tra una mentalità feudale ed una democratica moderna. Le differenze sono grandi, ma entrambi i metodi sono strabilianti esperienze umane e didattiche, tuttavia il Kuden porta la pratica in un pragmatismo tipicamente giapponese e l’esperienza diventa estetico-morale.

Per l’allievo non è certo facile capire che cosa intendesse Kimura sensei per “spirituale”, ma nella KATA quotidiana, cioè nel ripetere i lavori di stagione in giardino,ci si rende conto di quanto sia importante in questo metodo d’insegnamento annullare le certezze dell’allievo, per permettergli di ricevere l’informazione corretta.

Ecco dunque che il sistema gerarchico degli allievi ed il Maestro funzionano in un modo incomprensibile per noi: il maestro disorienta, ti mette alla prova con inganni, ti punisce, ti fa far brutta figura, ti da compiti impossibili, ti racconta cose false, ti umilia. Se leggiamo una regola medievale monastica troveremo molta analogia, i metodi feudali si basano in realtà su una profonda introspezione psicologica e spirituale umana. Certo oggi sembra incredibile che alcuni maestri usino ancora metodi così, ma dobbiamo pensare che Kimura sensei ha imparato così, dall’età della adolescenza, orfano di padre, dal suo maestro Motosuke Hamano. Inoltre egli crede fermamente in questo metodo.

La capacità evocativa (yoojoo in epoca Kamakura), cioè il potere suggestivo è un ideale poetico dove si deve evocare senza esplicitamente esprimere, è il valore estetico che diventa Yuugen in epoca Muromachi.

Il vuoto per esercitare la sua funzione non va riempito, ma accettato come tale: il principio daoista evince il valore di un vaso che non risiede tanto nella sua forma quanto nella sua capacità di contenere, ossia nel suo vuoto.

La teoria dell’insufficienza, imperfezione, incompletezza da enfasi allo yoojoo, è il piacere della rinuncia. Mancano delle parti, delle cose, l’ordine non è apprezzabile. L’asimmetria fa percepire a chi guarda le parti incomplete. Affonda tutto nell’impermanenza dove il concetto dell’incertezza della verità di tutte le cose è la negazione del senso di bastevolezza, del benessere mondano: a proposito vi rimando alla lettura di “Pensieri di un ozioso” Tsurezuregusa, Kenko 1283-1350.

Una delle grandi differenze bonsai le vediamo nella chioma e nei rami, movimentati e radi nel penjing, fitti ed imperfetti nel bonsai classico e precisissimi e fittissimi nel bonsai contemporaneo: i rami od il tronco non sono quindi tali se più o meno precisi, ma è da cosa derivano, il percorso che porta al risultato che fa apprezzare o meno la forma.

Il maestro Susumu Sudoo dice: “Non deve essere l’imperfezione prima di raggiungere la perfezione, ma è una imperfezione che supera la perfezione della forma”

 

“Non deve essere l’imperfezione prima di raggiungere la perfezione, ma è una imperfezione che supera la perfezione della forma”

L’estetica giapponese prevede l’artista come un tramite, in cui trascorrono il sentimento e l’espressione, più che un creatore ex-nihilo: i termini che definiscono la bellezza sono sempre colorati di uno sfondo affettivo, poco hanno a che fare con una facoltà emozionale e non logica.

Nel bonsai contemporaneo il tema della bellezza è qualificante per un discorso sull’arte. Il rapporto tra buono e bello suscita riflessioni stimolanti. La bellezza è in un certo senso l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza. Lo avevano ben capito i Greci che, fondendo insieme i due concetti, coniarono una locuzione che li abbraccia entrambi: « kalokagathía« , ossia « bellezza-bontà ». Platone scrive al riguardo: « La potenza del Bene si è rifugiata nella natura del Bello ».

 

Massimo Bandera