Confronto culturale con Kimura sensei

Quinto parte

Anno 2013

L’esperienza dell’apprendistato giapponese con Kimura sensei

Nell’estate di quest’anno, durante la stagione delle piogge, ho fatto uno speciale viaggio a Tokyo, nel quale ho avuto occasione di chiedere al maestro alcuni suggerimenti per i miei prossimi lavori su vecchi bonsai. Kimura sensei è stato molto interessante nel redigere i disegni nei quali mi indicava i punti salienti dove l’equilibrio tra classicità e contemporaneità trovano quella sua tipica, straordinaria armonia tra sobrietà ed esuberanza: una reale chiave di lettura dell’estetica giapponese.

Scelgo in particolare questo leggero schizzo di un Pino ancora da lavorare, che mi dà l’occasione per parlarvi di uno degli aspetti più indecifrabili dell’estetica giapponese: la spontaneità.

Se parliamo in senso artistico, consideriamo l’estetica come lo studio dei principi della bellezza, di quella certa arte, ma nella tradizione giapponese l’estetica appartiene alla quotidianità; non solo il percorso dei valori estetici diventano una esperienza estetico-morale, ma la bellezza diventa uso comune.

Certamente parliamo di una bellezza molto raffinata, che talvolta approda a sfumature rare o inesistenti nelle esperienze occidentali, ma molto interessanti.

Una chiave di lettura della spontaneità è il concetto di SHIBUI (Shibusa). Con questa parola si indica un ideale di bellezza raffinatissima, difficile da conseguire, una bellezza elevata, tranquilla, sobria, ruvida, sommessa, astringente. Il termine è lo stesso usato per indicare il sapore tannico del Cachi e di certi frutti non maturi, un sapore dunque, che in estetica diventa un gusto per le cose. In Giappone questo ideale è protostorico, antichissimo, che si è consolidato nel concetto dello Zen, purissima interpretazione giapponese del Buddhismo. Non dimentichiamo che lo Zen raggiunge la sua piena maturità estetica dopo aver trovato in Giappone terreno fertile.

Ma una prima cosa che salta all’occhio è come sia possibile conciliare ruvidezza con raffinatezza, come può una cosa essere grezza e bella allo stesso tempo?

Termini contrastanti creano per opposti una bellezza dinamica e vivace, esuberante e moderata allo stesso tempo.

Molti di voi avranno avuto occasione di studiare i sette attributi hisamattsiani, del grande monaco zen Shinichi Hisamatsu, ma per questo studio vi propongo un altrettano avvincente interpretazione dei valori estetici del direttore del Museo di Arti e Mestieri di Tokyo, Yanagi Sooetsu, analoghi, ma con un taglio interpretativo molto adatto al bonsai. Capiremo perchè apprezziamo così tanto la ruvida e grezza corteccia di un vecchio Pino…

Yanagi Sooetsu parla dei concetti di semplicità, implicito, modestia, tranquillità, naturalezza , ruvidezza e normalità. Shibui è quindi un concetto ampio, nel quale troviamo una grande armonia d’insieme.

Prima di tutto semplice quindi, cioè disadorno, austero, non abbellito. Nei bonsai è molto evidente perché cerchiamo di raggiungere una alta bellezza togliendo il superfluo per arrivare all’essenza: i bonsaisti tagliano, tolgono, sembra quasi che più si toglie e più il bonsai diventa bello. Un concetto opposto all’ideale di decorazione a cui siamo abituati noi occidentali. Se è troppo complesso non può essere Shibui.

Implicito si riferisce al significato intrinseco, qualcosa di profondo che si deve avere se si vuole evitare di essere superficiali. Come una sorta di mistero, sembra quasi che pur nella più pulita semplicità, ci sia più di quanto sembri. Analizzando un vecchio bonsai, emergono significati profondi e tutto sembra più grande. Anche geniale è il piacere della rinuncia.

L’opera Shibui è sempre modesta, un concetto opposto all’autore, non fa mai valere la sua presenza, non sottolinea la personalità dell’artista o dell’artigiano, sarebbe volgare. Come i vasi dei bonsai che  sottolineano la pianta e non sono affermazioni inadeguate.

La tranquillità dell’opera Shibui è un setimento che va oltre la quiete, sereno e composto, porta alla serenità dello spirito. Guardare un magnifico bonsai nel Tokonoma o in uno spazio speciale dovrebbe darci quella grande pace di una cerimonia del tè, o della vista di una statua del Buddha. Il silenzio diventa un valore purissimo, dove non è la calma nell’inazione, ma la calma nell’azione quotidiana la vera essenza del silenzio dell’universo.

Non può essere naturale ciò che è artificiale, ma neppure troppo consapevole sarebbe Shibui. La bellezza dell’imperfetto o la qualità dell’imperfezione come sottolinea Sooetsu, porta alla predilezione della asimmetria perché in natura raramente si incontra la simmetria: colori sommessi, naturali e tranquilli armonizzano molto bene con il concetto Shibui. Nella ceramica questo aspetto è fondamentale, i ceramisti giapponesi considerano “nati” e non “fatti” i loro vasi, perché consentono all’argilla di formarsi liberamente, invece di costringerla in un stereotipo. Anche i nostri bonsai più belli li guidiamo in una crescita naturale e non forzata, altrimenti diventerebbero di una bellezza innaturale.

Le trame irregolari, ruvide, di un magnifico bonsai vecchissimo, sono un esempio di come l’idea di rustico non sia volgare o grossolana, ma al contrario raffinata perché espressione di un amore per la natura.

L’arte Shibui è normale, lontana da anomalie, non troppo complessa o lussuosa. Probabilmente l’ideale di purezza e salute dello Shinto ha dato peso all’utilità dell’arte, che deve far nascere opere robuste, in grado di durare nel tempo e resistere all’uso quotidiano: nel tempo aumentano la loro bellezza.

Un bonsai che possiede questo carattere sarà veramente Shibui, una raffinatezza che dà gioia spirituale di “trattenuta spontaneità”.

Massimo Bandera